Sénégal: Dakar, 27/02/2010 - Perché noi non crediamo più a niente?

Mi sono svegliata presto stamattina. L’intenzione è quella di andare al mare e godermi un po’ di sole. E’ tanto tempo che non lo faccio e ho proprio bisogno di riconciliarmi con il mondo. Presto saranno 5 mesi di vita a Dakar. E posso dire che non ne sento il peso. Di solito le cose pesano quando non hai forza sufficiente per sostenerle, e allora ti sforzi. E’ positivo. Io non mi sforzo di vivere qui. Ci vivo e basta.
Ammetto di aver sofferto molto in questi 5 mesi, ma è normale. L’adattamento a nuovi luoghi, a nuove persone, a nuovi stili di vita, a una nuova cultura, a usanze completamente differenti dalle mie, a modi di pensare che hanno dello straordinario, non è qualcosa di immediato e indolore.

A volte invidio profondamente la fede che sembra di default in tutta la popolazione senegalese. Non faccio distinzione tra cristiani e musulmani. Ognuno segue e pratica la propria religione con una fede straordinaria. Tutti vivono nella certezza che Dio li protegge e veglierà su di loro. E’ così rassicurante che vorrei credere anche io con la stessa forza.

Ieri notte si è festeggiata la nascita del profeta Maometto. La festa si chiama Gamou. Tutti i musulmani sono partiti da qualche parte per celebrare l’evento con le persone care. Trovo questa festa più importante del Tabaski. La nascita del profeta segna l’inizio di tutto quello che vedo oggi. Mi sono sentita di celebrare anche io. Era talmente forte l’odore di fede che si respirava ieri. Era come se Dakar bruciasse d’incenso. Un enorme calderone di churai da un profumo straordinario.

Ieri tutti i pensieri negativi sono stati cancellati da un intenso bisogno di sentirsi parte di qualcosa e di condividere la gioia della nascita di Maometto con chiunque. A volte il modo in cui viene praticata la fede qui, mi da sui nervi, ma solo perché alcuni abusano di quel poco che conoscono per strumentalizzarlo a favore di alcune scelte in cui mancano di rispetto a sé stessi e al prossimo. Altre volte, come ieri, mi sono commossa. Mi commuove la dolcezza e la tenerezza con cui alcuni miei amici parlano di ciò in cui credono. Ci credono veramente e ripongono tutte le loro speranze nell’aiuto di Dio. Mi commuovono i racconti di “miracoli” avvenuti in seguito a sacrifici offerti ai propri Marabout. Mi trovo a invidiare il fatto che tutti credono in qualcosa e io vengo da una parte del mondo in cui oramai non si crede più a niente.

Se le cose non vanno bene, qui è sufficiente pregare per sentirsi protetti comunque da qualcosa o qualcuno. Io sono diventata così cinica che diffido nel fatto che pregando io possa ottenere qualcosa. Nella mia testa c’è la certezza che è solo con i propri gesti, le proprie azioni, le proprie scelte, si arrivi a ottenere o non ottenere qualcosa. Se vado a fare un colloquio di lavoro, prima di farlo, non prego Dio che interceda per me, ma spero che le mie competenze, acquisite fino a quel momento, siano sufficienti per garantirmi quel posto di lavoro. Se voglio mangiare tutti i giorni, cerco di non sperperare i miei soldi in cose inutili. Se voglio uscire la sera, lo faccio solo se ho i soldi per pagarmi il taxi. Il mio pragmatismo non mi abbandonerà mai credo.

E invece qui la gente si affida a Dio e è sicura che distribuendo piccoli doni ai Talibé, questi intercederanno per loro con il Supremo perché il colloquio di lavoro vada bene, perché ci sia un pasto tutti i giorni, perché qualcuno paghi un taxi per loro, perché il prossimo sia sempre generoso nei loro confronti. Tanti si affidano a quel che il resto del mondo può fare per loro, e non a quello che loro possono fare per avere un posto nel mondo. E così, tutti sono sicuri che ça ira, incha allah. Tutto andrà bene, se piace a Dio.

E generalmente non dovrebbe esserci nessuna ragione per cui a Dio dispiaccia. Per cui la fede è veramente sentita in una maniera fuori dal comune.

Vorrei anche io credere che ça ira. E’ qualcosa di cui ho già scritto. Io credo a “ça ira” solo se ho gli strumenti che mi permettono di crederci. Non mi basta la preghiera. Eppure l’effetto di essersi rivolti a Dio per ottenere qualcosa, rende tutti così ottimisti che non posso non invidiarli. Io sono cinica in un mondo pieno di ottimisti. Ottimisti che a volte hanno l’aspetto rassegnato dal vedere non realizzati i sogni per i quali si è pregato tanto. Ma la rassegnazione svanisce presto con un ça ira. E’ una formula magica che da la forza di non arrendersi o di non mostrare che si ha paura che non andrà bene per niente.

Mi trovo a metà tra il desiderare di possedere quest’ottimismo naturale, e l’essere consapevole che andrà bene solo se impiegherò tutte le mie energie affinché ciò avvenga.

E’ mio padre che mi ha insegnato a farmi un culo così per ottenere ciò che desidero. E mi ha insegnato anche che se non mi impegno, non ottengo niente. Se non faccio sacrifici, è difficile che ottenga dei risultati.
Da quando sono qui, posso dire che c’è una differenza tra quelli con cui lavoro e gli abitanti del mio quartiere. I miei colleghi credono profondamente nel lavoro che fanno, si impegnano al massimo, stanno in azienda anche oltre l’orario lavorativo e non tornano a casa prima di aver finito la maggior parte delle cose da fare. E’ segno questo di diligenza, di senso di responsabilità, di consapevolezza che è il lavoro a permettergli di vivere e di andare avanti, e che se non si impegnassero così, qualcuno potrebbe decidere di lasciarli a casa.

Tanti abitanti del mio quartiere non lavorano. Stanno a casa aspettando che il lavoro bussi alla loro porta. E’ vero che qui a Dakar è difficile trovare lavoro, ma resto dell’idea che comunque bisogna cercarlo. Se non lavori, ogni giorno dovresti buttarti giù dal letto e andare in cerca. E’ qui che entra la mia idea del fatto che in fondo sono tutti rassegnati che ça non ira per niente. L’altra idea che cerca di battersi con la rassegnazione, è che credo che in fondo siano tutti pigri. Quelli che non fanno nulla aspettando la mano di Dio, per me sono in fondo solo molto pigri. Non sfigati. Non rassegnati. Non abbandonati da Dio, ma pigri.

Il fatto che le giornate di molti trascorrano nel far niente totale, nel dormire fino alle 11 o mezzogiorno, uscire per salutare gli altri che non fan niente, mangiare, bere ataya (thé senegalese) fino all’ora di cena, cenare, bere ataya con gli amici fino a notte fonda, fumando sigarette, canne e quanto altro di dannoso c’è per i loro polmoni e la loro salute, mi fa credere che ci sia ben poca voglia di muovere un dito per cambiare questa situazione. In fondo, che male c’è a non far niente se comunque si riesce a mangiare tutti i giorni, grazie alla generosità di altri che elargiscono 1000 franchi CFA ogni tanto?

Nel modo in cui sono stata educata, c’è che io mi sentirei un po’ umiliata nel dover sempre aspettare che qualcuno mi dia “l’elemosina”, piuttosto che uscire di casa, camminare fino a sera in cerca di una qualsiasi attività remunerativa.

Qui tutto può diventare un lavoro. I senegalesi hanno una tale capacità inventiva, che tutto per loro è attività economica. Dunque trovo assurdo che tanti si accascino su se stessi senza rispondere a questo stimolo naturale che hanno verso il commercio. Ci sono attività qui che hanno dello straordinario. Ti si vende di tutto. Ti si può vendere anche l’attività che appartiene a un altro e è sicuro che ci si guadagna qualcosa.

Al mercato di Sandaga ci sono i procacciatori di clienti. Sono quei ragazzi che ti fermano e ti chiedono: “cosa stai cercando?” Tu glielo dici, e quelli ti portano da qualcuno che vende quello che cerchi. E hanno una commissione su quel che viene venduto. E questo esiste anche in quartiere. Tu manifesti una tua necessità, e qualcuno ti offre di portarti da chi può soddisfarla. Li sai già che il prezzo sarà gonfiato della commissione che il procacciatore dovrà guadagnare.

Ad ogni modo, tutto questo per dire che non si può restare seduti a bere ataya quando tutto si può vendere e tutti sono disposti a comprare, anche a credito.

L’economia qui in Senegal funziona benissimo. C’è un continuo via vai di gente che compra e vende. Arrivano container dall’Europa, dall’Arabia Saudita, da ovunque, con merce che i senegalesi emigrati hanno acquistato altrove per rivenderla qui. Tutto quello che viene dall’estero è apprezzabile più di quanto lo sia la stessa merce prodotta qui.
Dakar è invasa dai cinesi. I cinesi hanno compreso quanto marci bene l’economia senegalese e hanno importato di tutto. Non solo, producono in loco. Ma i senegalesi sono convinti che la roba cinese non importata sia di qualità inferiore alla roba cinese importata. E’ l’idea della provenienza esterna che da una qualità migliore alla merce. E’ incredibile.

Se io acquisto delle cose al marché samedi (mercato dell’usato del sabato) a 200 o 300 CFA, e la rivendo in quartiere a 5 o anche 10 volte il prezzo che l’ho pagata, la gente la acquista perché pensa che venga dall’Italia. E non ho nessuna ragione per smentire quest’idea.

L’onestà va a farsi fottere quando si tratta di affari.

Questa cosa l’ho imparata a mie spese.

Quando sono arrivata qui ho dovuto scontrarmi con l’obbligo del mercanteggiare a ogni acquisto. Dovevo comprare letto, materasso, divani, cucina e frigorifero. Il resto dell’arredamento ce l’avevo quasi tutto.
In principio era il materasso e un ventilatore. Avevo solo quello e tutte le mie cose erano sistemate per terra. Un gran caos, ma non potevo lamentarmi. Presto i mobili che avevo acquistato all’Ikea e che avevo spedito con un container, sono arrivati e la mia casa a presto forma. Restavano dunque da acquistare le cose che ho elencato.

Il frigorifero è quello che mi ha dato più sofferenze. Partiamo dal presupposto che un qualsiasi venditore che vede arrivare una toubab (bianca) nella sua boutique o magazzino, ha già moltiplicato per 5 il prezzo di tutta la mercanzia, senza che io abbia chiesto niente.

Un bel giorno sono partita con Salif a caccia del frigorifero. Abbiamo cominciato a Castor per finire a Liberté 6 fino a Cipress. Tutta Liberté 6 è piena di magazzini colmi di roba dei container che vengono dall’estero. Dunque oltre frigoriferi, trovi di tutto: tavoli da cucina con sedie, televisori, cucine, camere da letto, accessori per la casa e compagnia bella. Dunque mentre cercavo il frigorifero, ho anche chiesto i prezzi di altre cose.

Per dare un’idea di quel che intendo quando dico che “ingresso toubab” significa parecchie volte in più del prezzo reale, ecco qui delle risposte che ho ricevuto alle mie richieste:
1 tavolo da cucina con sedie = 500.000 CFA (762 euro)
1 camera da letto con armadio, letto, 1 comò, specchiera tutto palesemente Ikea= 2.000.000 CFA (3048 euro)
1 frigorifero 870.000 CFA (1326 euro)

E così via. Insomma, quando poi io ribattevo con 5 volte meno il prezzo dichiarato, mi guardavano come se fossi pazza, dimenticandosi che proprio perché vengo da dove hanno preso quella roba, conoscevo un minimo il valore reale.

Non aveva importanza. Il fatto che fossi toubab doveva per forza significare che nella mia borsa c’erano tutti quei soldi, dunque IO dovevo pagare quel prezzo dichiarato. Cari miei, col pippo.

E proseguiamo la ricerca del frigorifero. Tutti i frigoriferi dei magazzini di Liberté 6 non sono frigoriferi nuovi, ma di seconda, se non di terza mano. Sono quei frigoriferi che in Italia la gente butta via e che vengono raccolti e inviati qui per essere riparati e quindi rivenduti. Bene, è tra questi che io ho acquistato il mio. Un frigorifero whirpool, enorme e bellissimo. Così orgogliosa di averlo pagato 170.000 CFA (259 euro) che non ho pensato minimamente che ci dovesse essere un inghippo. Già il fatto che mi abbiano dato una garanzia di un mese, avrebbe dovuto farmi pensare… ma niente, ero convinta di aver fatto l’affarone del giorno.

Bene, neanche dopo un mese di blackout continui a Dakar, l’affarone mi ha abbandonato. O meglio, l’ha fatto per metà. Il frigo ha smesso di funzionare. E potevo usare solo il freezer.
Racconto a Babu, il mio vicino, che avevo bisogno di un frigorista. Me ne fa avere uno dopo qualche giorno. Grande Babu.
Il giorno della visita del frigorista è stato davvero umiliante per me. Insomma, mi guardava e rideva, diceva che quello non era un frigorifero “senegalese”, che andava bene per l’Europa, ma qui, con i continui tagli alla corrente, era normale che si fosse fulminato subito, che prima di utilizzarlo qui, avrebbe dovuto essere “senegalizzato”. Insomma, che cacchio significasse non lo so neanche oggi, fatto sta che avevo un frigorifero extracomunitario che non era tollerato dai blackout senegalesi. L’onesto e estremamente sincero frigorista, che dopo la diagnosi non ha voluto niente, ha solo aumentato il livello di congelamento a 7 dicendomi di chiamarlo il giorno dopo per fargli sapere se le cose fossero cambiate.

Il fatto che mi abbia derisa così, come se fosse obbligatorio da parte mia conoscere i tipi di frigorifero che qui funzionano e quelli che non funzionano, mi ha spinta a dire a Salif di rivolgersi a un altro frigorista. La presunzione di alcuni senegalesi a volte è davvero disarmante, e io resto dell’idea che per quanto tu faccia bene il tuo lavoro, non hai il diritto di umiliare il tuo cliente, e soprattutto devi portargli sempre rispetto. Non ne faccio una questione di orgoglio, ma ha più volte ripetuto a Salif in wolof: “I toubab non capiscono niente”.

Può anche essere vero che io non capivo niente, e è normale, io non sono frigorista. Ma tu mi devi rispettare, sennò io non ti faccio lavorare per me. Chiaro?

E così il giorno dopo viene un altro essere chiamato frigorista pure lui. All’apparenza fa qualcosa, smonta, cambia il gas, sporca tutto e dice che ci rivediamo dopo qualche giorno per terminare il lavoro. Per questo intervento gli do 15.000 CFA che sarebbero dovuti servire a guarire il mio frigorifero.

Ma dato che come ho appreso, qui a Dakar tutto è possibile, ma nulla è certo, questo frigorista mi ha abbandonata. Ha preso i miei soldi con la promessa di tornare e è sparito con la scusa che suo padre aveva problemi di salute. Era il 28 dicembre 2009. L’abbiamo anche incontrato dopo una settimana e la promessa è stata rinnovata….. a data da definire.

Mi fa rabbia questo atteggiamento. Mi fa rabbia il fatto che io abbia pagato in anticipo per un lavoro che non è stato fatto. Mi fa rabbia che Salif non abbia insistito nel chiamarlo e nel farsi valere. Quando si tratta di cose che riguardano la sua casa, non si fa mettere sotto da nessuno. Ma se si tratta di me, io posso accettare. Io posso capire.

Dicevo questo a Daour, il fratello di Salif, giorni fa. Dato che io sono toubab, si pensa che non ho bisogno di un frigorifero, che le cose qui a casa mia si raffreddino per il solo fatto che vengo da paesi freddi, o per il solo fatto che il potere dei soldi ripara tutti i frigoriferi o ne fa acquistare nuovi, come se veramente io sia piena di soldi.

Ho commissionato un boubou al marito sarto di una mia collega circa due mesi fa. Non l’ha ancora fatto. Dato che sono toubab, io non ho bisogno di un boubou, dunque posso aspettare. Ho dato 5000 CFA di anticipo e il tessuto.

Ho commissionato le tende della camera e del soggiorno a un sarto amico di Salif circa 10 giorni fa, con la promessa che me le avrebbe riconsegnate il giorno dopo. Non ne so ancora nulla. Ho dato 2000 CFA e non ho ancora le tende. Dato che sono toubab io non ho proprio bisogno delle tende.

Ma porca miseria, non vi viene in mente che se fate bene il vostro lavoro, magari ritorno per commissionarvi qualcos’altro? O col passa parola vi mando altri clienti? No, qui sono in pochi che hanno capito questa cosa. La maggior parte, prendono i miei soldi e dato che sono toubab, non fanno il lavoro per cui li ho pagati. Cazzo quanto sono idiota. Dopo le tende, è l’ultima volta che pago in anticipo.

Daour dice che non c’entra nulla il fatto che io sia toubab, che qui le cose vanno così. Ma io non credo proprio. Il sarto marito della mia collega non ha fatto il mio boubou per mettere davanti al mio i boubou di donne senegalesi, che dato che vestono regolarmente abiti tradizionali, è sicuro che torneranno da lui se lui farà un bel lavoro. Ma io sono toubab, dunque non è certo che io commissioni altri boubou in futuro. E’ sicuramente questo quello che pensa. Bene, caro Marito, non ti manderò nessun cliente, né toubab, né senegalese, stanne certo.

Caro frigorista, caro sarto delle tende, non avrete clienti e complimenti da parte mia. So che non ve ne importa niente, che ci saranno altri clienti e che non arrecherò alcun danno alla vostra attività, ma sicuramente non guadagnerete più su di me.

Ieri sono andata da Tapha, un amico che ha un piccolo negozio di elettrodomestici a Castor. Bene. Un frigorifero NUOVO e “senegalizzato” me lo farà pagare 160.000 CFA. Certo, è più piccolo dell’altro, ma è nuovo. Per ora non ho i soldi per comprarlo, ma me lo terrà da parte. Li ho capito che chi mi ha venduto il primo frigorifero non è stato onesto né con la qualità della merce, né con il prezzo. Ma dato che sono toubab e che non capisco niente, me lo sono meritata.

Dunque, dicevo, l’onestà va a farsi fottere quando si tratta di affari. E ho concepito questo concetto grazie a tutte le persone disoneste che ho incontrato nei miei acquisti. Dunque cari miei, ora io vi vendo quel che voi credete venga dall’Italia, a fior di CFA e non mi sento per nulla in colpa. Per ignoranza io ho comprato un frigorifero non senegalizzato, per ignoranza voi pensate che tutto quel che viene dall’Europa sia meglio di qualsiasi cosa trovata qui, per ignoranza voi pensate che se è un’italiana a vendere, è certo che la merce arrivi da fuori. Allora, viva l’ignoranza che fa marciare l’economia.

Mi inserisco perfettamente nel giro e ho i miei clienti. Il passaparola è efficace. Non accetto di vendere a credito. Se vuoi comprare, paghi subito, sennò torni quando hai i soldi.

Il fatto di essere diventata “commerciante” di qualcosa, non so perché mi ha portato il rispetto di molti. E’ come se il fatto di riuscire a imbrogliare mi renda più simile agli altri. Non avrei mai immaginato che integrarmi significasse anche questo.

E ora, la Vaidehi degli HLM (così mi chiamano i bambini, vedi soap opera indiana che passava alla tv tempo fa), vende articoli pregiati e che fanno gola a tutti.

L’importante è crederci.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono arrivata per caso a te ed il cuore ha pulsato così forte....da dovermi fermare e scriverti....
Il Senegal è dentro di me...è racchiuso nel mio cuore in un cofanetto speciale.
Scusami mi presento mi chiamo Simona ho 41 anni due figli...ed una nostalgia pazzesca del senegal.Il mio primo viaggio risale all'estate del 1997 e l'emozione è stata tale che l'anno successivo sono tornata per due mesi e non avrei più fatto ritorno a Parma..Purtroppo la malattia mi ha fermato in Italia e poi successivamente l'altra meravigliosa esperienza di vita della nascita dei miei bambini.
Sò che però tornerò in Senegal mi manca sempre e troppo ed il ricordo torna sempre e sempre di grande intensità.
Voglio rivedere Gorèe,assaporare il tiè-bou-dienne,incontrare un vecchio griot tra i baobab di Kebemer,giocare con i bimbi di Guèdiawaye.
L'incontro con le terre senegalesi è stato amore a prima vista e anche se sono passati tantissimi anni ormai il ricordo è sempre vivo,forte e nostalgico.Parlo sempre ai miei bimbi dellAfrica e sò che tornerò con loro.
Scusami tanto se ti ho scritto ma avrei tanta voglia di sapere da te tante cose del Senegal di oggi , che immagino sarà cambiato.Forse saranno aumentati i problemi...ma la teranga sarà rimasta la stessa .Mi mancano tanto i baobab elberi speciali che mi hanno emozionato più di tutto.
Ti abbraccio e spero poter parlare un po' con te.
Grazie
Simona

CaterinaC ha detto...

Cara Roby,
ero curiosa di leggere piu' nel dettaglio come andava... grazie del tuo racconto! spero terrai sempre aggiornati i tuoi mille blog. ciao,
Cate

giopper ha detto...

Ciao Roberta, mi chiamo Giorgio, stò iniziando una attività di commercio in senegal con un minimo investimento, e un socio senegalese che vive in italia,ma ci sono alcune cose che non riesco a chiarire neanche con lui, perchè a dakar non ho contatti e non parlo bene il francese,saresti disposta a darmi qualche informazione utile? io dovrei venire giù entro l'estate,grazie ciao la mia mail:giopteam@gmail.com

Anonimo ha detto...

Ciao
io in senegal ci sono stato per tutto gennaio 2009 a Dakar per lavoro nel commerciale.Adesso dopo aver perso il lavoro sto pensando a trasferirmi a Dakar e aprire una ferramenta e trattamenti acqua.
Se ti interessa contattami.
Ciao
Davide
david2005@libero.it

eco ha detto...

ciao roberta io arrivo a dakar giovedi' 12 gennaio cn la mia fidanzata , ti va di incontrarci una sera bere qualcosa e chiaccherare un po'?? io vorrei regalare un frigorifero alla mamma di un mio amico senegalese e se quel tuo amico del negozietto è onesto potrei comprarlo da lui forse...mi dai una tua mail per trovarci?
grazie e se nn ti va nn ti preoccupare , sono abituato a rimbalzare nelle nuove amicizie...
baci baci e spero proprio che ci incontriamo , Sandro e Eden.