Sénégal - Dakar: Ottobre-Dicembre 2009, Qui se sgomiti ottieni rispetto

21/10/2009

Sembra davvero di essermici abbonata. Da tre giorni ho di nuovo la malaria. L’ho capito ieri. Lunedi mi son svegliata con fitte molto forti alla schiena e all’addome. Ho pensato che domenica il mio impegno nella ricomposizione delle scatole arrivate dall’Italia, fosse stato eccessivo e il mio corpo ne avesse risentito. Non sono più giovincella, ecco. Certi sforzi mi stremano. E invece no, non era l’età la responsabile dei miei dolori. Ieri al rientro dal lavoro, mentre facevo la doccia ho iniziato a tremare come una folle. Malaria, ho detto. Ho sempre con me della clorochina da quando ho avuto la mia prima malaria. E così, visto che era tardi, e che non avevo la forza di andare in farmacia, ho preso due compresse. Ormai conosco la tiritera. Due appena scopri di essere infetta, due dopo 6 ore, due il mattino seguente e due il giorno a seguire. Ok, e ora come cacchio faccio col lavoro?

Ammetto che le lacrime sono arrivate all’istante.
Porca miseria, possibile che me la becchi solo io? Sono arrivata da una decina di giorni, e sono già un catorcio.

Esco dalla doccia e suonano alla porta. Apro avvolta in un asciugamano azzurro senza neanche chiedere ko kan la? (chi è?) e senza neanche guardare in faccia chi fosse, dico: “Ho la malaria cazzo”. In italiano. Si, e Salif mi guarda e dice: “che hai detto?”
“J’ai le paludisme”… si, ha capito. E inizia con una serie di “mannò, dai, è la stanchezza, è il caldo, è il lavoro, è il cambiamento di clima”.
Ripeto “ho la malaria, quando tu hai la malaria, sai di avere la malaria, no? Ormai la riconosci, no? Ecco, anche io. Ho la malaria”

Entra in casa, e vede che tremo. Si, sentivo un freddo fottuto. Il ventilatore normalmente soffia talmente leggero che non me ne accorgo. Ieri lo sentivo come lame sulla pelle. Ho preso un piumone e mi son messa a letto. Ho spedito Salif alla farmacia a comprarmi il Coartem, e dopo due banane ho preso le 4 compresse. Lo so, non si fanno i coctail di medicinali, ma ero sicura che non sarei schiattata.

Già dopo un’oretta ho ripreso a respirare. Si, a me la malaria toglie il respiro. Mi chiude la gabbia toracica e se faccio respiri troppo profondi sento che potrebbe esplodere. Non posso neanche ridere. Se rido, mi duole l’addome, i fianchi, la milza, il fegato, i reni, la schiena. E la spalla destra. Ieri era la destra, oggi siamo passati a sinistra. Incredibile come neanche la malaria sappia da che parte stare.

Salif era stupito nel vedermi sotto il piumone. Lui sudava come un pazzo. Effettivamente la temperatura qui non è che sia proprio fresca. Dopo qualche minuto è uscito e mi ha lasciata li, sola, con la mia malattia.

Ammetto che non me l’aspettavo. Insomma, di malaria si muore. Uno nato qui dovrebbe saperlo. Ho trovato molto disumano il fatto che lui mi abbia lasciata da sola pur sapendo quanto stessi male. Mi son posta tante domande. Non è normale. Sono estranea a questa città, non ho dei parenti che possono venire a prendersi cura di me, e l’unica persona su cui facevo affidamento, mi ha abbandonata in mezzo a una crisi malarica anche forte. Che razza di relazioni si instaurano qui tra le persone? Fino a che punto arriva veramente la teranga senegalese?

Tutti sono pronti a offrirti un pasto negli orari dei pasti. Ma non si va oltre. Se hai un problema, non ci sono tante orecchie pronte a ascoltarti. Ma questo è ovunque così. Lo ammetto. Però quello su cui rifletto è proprio la tanto rinomata teranga senegalese. Accoglienza a mio avviso significa prendere per mano qualcuno e non farlo sentire perso in un mondo che gli è ignoto.

E io ieri mi son sentita persa. Non accolta. Non presa per mano. E mi sento persa ogni volta che nessuno fa uno sforzo per tradurmi i discorsi che si fanno. E’ vero, sono io che ho scelto di cambiare paese. Ma faccio già uno sforzo enorme nel parlare francese, per cui sarebbe teranghese da parte loro, fare uno sforzo per inserirmi aiutandomi con il wolof. E invece si pretende che io sia nata già imparata, o che impari per conto mio.

Il passaggio di consegne qui non esiste. Se tu vuoi imparare qualcosa, sono affari tuoi, ti devi arrangiare, nessuno condivide i propri saperi perché tu potresti poi guadagnarci qualcosa che loro ancora non hanno saputo individuare nelle proprie capacità. Questo vale nella lingua, ma vale anche nel lavoro. Non passano le consegne. Sono arrivata da una settimana e le consegne me le sto passando da sola sfogliando cataloghi, cercando di capire da sola quale sarà il mio mestiere. Non è facile, ma cari miei signori della teranga, non sapete ancora con chi avete a che fare. Appena mi rimetto in sesto, cambio strategia. Vi costringerò a insegnarmi quello che mi serve. E se non mi volete intorno mentre lavorate e siete stra-occupati, sarà bene per voi insegnarmi bene, perché sennò ritorno a riempirvi di domande.
Ho lasciato passare i primi cinque giorni così, senza rompere i pallini a nessuno, perché pensavo che lo stile di passaggio di consegne fosse quello di arrangiarsi alla bell’e meglio con i pochi strumenti forniti.

Ma non è così che si sopravvive a Dakar. Se non sai qualcosa, se ti serve qualcosa, non devi mai avere paura di chiedere, di sgomitare, di spingere e di fare a pugni per averlo.

Sul bus ho imparato a sgomitare proprio ieri. Una grassona non faceva che spingermi col suo culo enorme. Io per gentilezza le facevo spazio, perché mi mettevo nei suoi panni e mi dicevo, poveretta, alla fine io posso spostarmi con agilità… Ma alla faccia della mia gentilezza, quella mi ha pestato un piede perché i ciccioni, si sa, non si tengono bene sui mezzi pubblici, tanto sanno che in qualche modo rotolano comunque. Al che non ci ho visto più, ho puntato i gomiti sulla sua schiena e cara cicciona, spero tu abbia capito che li c’ero prima io, che devi dimagrire, e che anche se sono toubab, merito il tuo rispetto.

Sui bus la teranga non esiste. In mezzo al traffico la teranga non esiste. Quando fai la coda da qualche parte, la teranga non esiste. Tutti non fanno che sgomitare per togliere di mezzo il prossimo. Ho capito come funziona. E sono pronta a sgomitare.

Aspetto che questa malaria passi, e conquisterò i miei spazi. Sul lavoro, in città, dappertutto punterò i gomiti sulle schiene di chi non è veramente teranghese. Questa parola me la sono inventata io. O forse è già stata usata da qualcun altro nel mondo a mia insaputa. Ad ogni modo, qui la teranga vale solo per il cibo e il posto letto. Sono le cose essenziali. Il resto è troppo impegnativo.

Mettersi nei panni degli altri, è qualcosa che è irraggiungibile da qualsiasi africano incontrato in vita mia.

Qualsiasi riflessione richieda un impegno superiore a quello di doversi chiedere cosa si mangi oggi a pranzo o a cena, viene quasi evitata. Come va? Hai dormito bene? Hai mangiato bene? E gli affari? Ma quali affari? Insomma, qui il 90% delle persone che conosco non lavora.

E’ interessante perché a me chiedono “e la tua vacanza, procede bene?”. Cari, io qui ci lavoro. E ve l’ho anche detto. Ma l’impegno mentale di ricordare questo dettaglio è stato riservato a qualcos’altro.

Queste sono solo riflessioni che mi porto dentro da tanto tempo. Ad ogni modo sono felice di essere qui, per il fatto di mettermi in gioco da capo, in un mondo che è veramente capovolto e che ti prende a gomitate tutti i giorni.

20/12/2009

Dove vanno i talibé di Dieppeul quando fuori alle 7.00 del mattino si gela? Pensavo andassero da qualche parte, e invece li vedi spuntare puntuali, con il loro barattolo di latta rosso, gli sgambetti in segno d’amicizia, le magliette enormi che arrivano fino a terra, e luride che la metà basta. Da che ho iniziato quest’avventura, ho il mio talibé preferito. Non ho idea di come si chiami, ma fatto sta che quando lo vedo ogni mattina è come se incontrassi qualcuno che ho sempre conosciuto e che è sempre stato li a aspettarmi.
Si avvicina discreto, mi guarda dal basso sperando con tutto il cuore che io abbia qualcosa da dargli, e quando gli sorrido facendogli capire che ho i soliti biskream, mi sgrana tutti i suoi dentini in segno di gratitudine. Da qualche tempo ha un compare più nano di lui che comincia a conquistare la mia simpatia. E’ talmente bello, e talmente infreddolito quando viene da me che mi vien voglia di portarmelo a casa. Cosa succederebbe se mi portassi due talibé a casa e decidessi di prendermi cura di loro? Non ne ho idea.

Odio questo fenomeno in città. Bambini sguinzagliati alla ricerca di pochi franchi CFA e di piccoli tesori, tra cui pane, zucchero, lait caillé, biscotti, arachidi. Per cosa poi? Si crede veramente che a sera, grazie a tutti quei doni, questi bambini avranno la forza di pregare per ognuno di quelli che hanno donato? Si crede veramente che questi bambini si ricorderanno tutte le facce di quelli che hanno dato qualcosa? E soprattutto, si crede veramente che questi bambini, una volta rientrati nel dara avranno le energie per mettersi a studiare il corano? C’è davvero qualcuno che a sera gli insegna il corano?

I marabut sono le Vanna Marchi di Dakar. La gente va dal marabut perché lui preghi per loro e interceda verso Dio. Ma veramente c’è bisogno di qualcuno che interceda perché Dio ascolti le proprie preghiere? Con che diritto un marabut si elegge a inviato di Dio e pretende che le sue preghiere siano più efficaci delle mie? Con che diritto un marabut ti dice che il prodotto che ti prepara con pezzetti di versetti di corano immersi nell’acqua o nel sapone, ti aiuterà a trovare un lavoro? O a avere fortuna nella vita senza fare un pippo? O a fare in modo che i tuoi figli vadano bene a scuola? Insomma, questi Vanna Marchi inviati di Dio, hanno scoperto un bel business secondo me. Se veramente fossero inviati di Dio, dovrebbero pregare GRATIS, perché tanto Dio li ricompenserà. Questi signori hanno studiato il corano meglio di altri, forse, e una volta finita la scuola, hanno trascinato un gruppetto di sostenitori a spargere la voce che hanno poteri speciali. E’ un po’ quello che succede in politica. La gente ripone fiducia in qualcuno che sembra davvero sapere come andare dove vuoi andare, in qualcuno che sembra davvero avere i mezzi per risolvere i problemi di tutti.

La gente ha bisogno di credere in qualcosa. Io credo che si sia quasi obbligati a credere a questi Vanna Marchi senegalesi, perché se neanche loro conoscono quale sia il modo per uscire da tutta questa disperazione, vista la latitanza di segni concreti di una presenza Divina, allora la popolazione si sentirebbe davvero perduta.

E allora ecco che diventa priorità partire con un bus fuori città, spendere per mezzo di trasporto e recarsi a casa di quel tal marabut che pare che faccia saponi strepitosi contro la sfortuna o contro la disoccupazione. E così, dopo aver pagato per il trasporto, si arriva li, si dona un montone perché il marabut possa fare un sacrificio (e riempirsi lo stomaco), e dopo un’attesa infinita, tocca a te.
“Che problemi hai?”
“Non lavoro da mesi”
“Ok, ti preparo un sapone. Vieni a ritirarlo sabato. Questo devi usarlo due giorni per due volte al giorno. Ma se ti interessa, ne ho appena creato uno che va usato per 22 giorni. Costa un po’ di più ma vale la pena.”

E ecco tanta gente indebitarsi per poter pagare il marabut che scrive versetti di corano a tutto spiano su carta “speciale”, e in seguito taglia a pezzetti tutto per affondarlo nell’unguento.

Io ormai sono talmente cinica che continuo a dire “io ho un sapone alla mora e muschio che mi ha permesso di arrivare in Senegal, di prendere una casa in affitto, di trovare un lavoro, un fidanzato e un sacco di amici”. La cosa grave è che a volte mi credono. E mi chiedono di vender loro il mio bagnoschiuma Vidal alla mora e muschio. Credo che potrei far peggio di Vanna Marchi alla gente qui. Ho uno strano potere di convincimento sulle persone. Mi si guarda in faccia e mi si crede. E’ merito del fatto che vengo dalla Sardegna, e in Sardegna si sa, la più parte delle persone sono sincere e scagliano le verità come sassi.

Se fossi un po’ spietata, mi inventerei un potere e sono sicura che da qui a un anno avrei i miei seguaci.
Sono qui da pochi mesi e ho già una serie di persone che credono che io abbia poteri curativi. Ogni volta che qualcuno sta male, in ufficio, in quartiere, viene da me o mi invia qualcuno perché suggerisca cosa prendere o cosa mangiare. Do semplici consigli sulla buona alimentazione e in seguito le persone cominciano a star bene. Qui mangiano grassi e porcherie in grandi quantità. E’ per questo che le donne senegalesi esplodono ai 25 anni e diventano delle gran ciccione. Non fanno sport, non bevono acqua, non camminano tanto, spendono tanti soldi in taxi e poi fanno fatica a salire le scale di casa.

Ho diagnosticato diversi casi di malaria, e ho suggerito la medicina migliore da prendere. Coartem o cofantrine. Il cofantrine ha la stessa efficacia e contenuto del Coartem. E’ pazzesco che la gente preferisca rivolgersi a una sconosciuta, a un marabut, a una Vanna Marchi, piuttosto che a un medico o a un farmacista. La fiducia in chi ricopre un ruolo perché effettivamente ha delle capacità, qui manca. Non si crede ai politici, non si crede ai medici, non si crede agli insegnanti, non si crede alle istituzioni in genere. Si preferisce credere a chi vende speranza in cambio di saponi speciali. Questo è il dramma qui. La gente non crede nelle proprie capacità, perché se piace a Dio, le tue capacità vengono viste, sennò t’attacchi al pioppo.

Ad ogni modo, comincio a mentire. Si. Ho iniziato una fase in cui comincio a mentire anche io. E alla menzogna accompagno la mia abilità nella vendita. In realtà non sono mai stata una gran venditrice, ma quel che mi piace te lo vendo come se fosse la cosa più preziosa del mondo. E così comincio a guadagnare su minchiate. E se dico minchiate, giuro che sono minchiate. Ma qui la gente compra tutto, purché arrivi dall’Europa. Qui la crisi non esiste. E’ vero. La gente spende anche senza avere soldi. Si indebita fino all’osso, ma spende. Tanto un giorno ti renderà tutto, se piace a Dio (incha allah). Troppo facile incha allah!

E così il mercato non è mai fermo. In tutte le vie di Dakar si compra e si vende senza ritegno. Di tutto. Fa quasi paura la venalità che caratterizza la personalità tipica di un abitante del luogo. Devo stare attenta a non farmi trascinare nel tunnel. E’ talmente facile cadere nella voglia di guadagnare su tutto.
Qui ti fanno un favore e poi si aspettano una mancetta. Non esistono gli amici veri che ti fanno un favore, e dopo gli offri da bere e finisce li. Non posso parlare con tutti delle mie osservazioni. Figuriamoci, se parlassi dei marabut in questo modo ai baye fall che sono qui sotto casa mia, non so come andrebbe a finire.

Ad ogni modo, i baye fall non sono persone cattive. Sono talibé diventati adulti e che continuano a non fare un pippo da mattina a sera, tanto se piace a Dio, si arriva comunque fino a domani.

Ero rimasta al 21 ottobre, quando ho avuto la malaria. Bene, è passata, mi sono curata e l’ho sconfitta anche sta volta. Al rientro al lavoro ho partecipato all’ultimo giorno di formazione su un’applicazione che dovremmo utilizzare da Gennaio 2010. Il professore ha dato un esercizio, io l’ho fatto senza aver seguito la settimana di formazione e tutti sono rimasti a bocca aperta. Ho sgomitato. E ho sorpreso tutti. Il giorno dopo sono stata promossa e ho cominciato a lavorare. Erano solamente 10 giorni che ero li, di cui 5 passati a leggere cataloghi e 5 con la malaria, eppure ho stracciato tutti dimostrando che la toubab ha un bel gran cervello, e che cervello!

Qui se sgomiti ottieni rispetto. Lo dimostro anche quando una signorina che io definisco un po’ baldracca, fa delle allusioni sul mio conto e non gliene faccio passare una. Tale signorina cerca sempre di farmi passare per la toubab che non conosce, non capisce e non sa fare un pippo. Bella, non sai con chi hai a che fare. Le rispondo per benino davanti a tutti, e ogni match è una mia vittoria. La sua ignoranza mi aiuta parecchio. Qui le donne con qualche neurone sano, sono rare. Purtroppo devo dirlo. Le relazioni che instaurano con gli uomini sono solamente per avere del denaro in cambio. Non si sposano se il futuro marito non ha abbastanza soldi, e se prima del matrimonio non le ha riempite di regali costosi.

Ci sono donne che accettano la poligamia solo perché il futuro marito è ricco o perché nessun altro se le piglia. Dove sta scritto che è obbligatorio sposarsi? Tutti i soldi che vengono spesi in vestiti, scarpe, accessori e compagnia bella per le feste (qui c’è una festa ogni due per tre), dovrebbero essere investiti nella propria educazione. Quel che manca a tante donne è l’istruzione. E senza istruzione è difficile trovare un lavoro che non sia quello di domestica o lavapiatti o lava vestiti. Ma si preferisce mille volte spendere e spandere su abiti e compagnia bella, per il battesimo di un bambino nato dall’altra parte della città e di cui non si conoscono neanche i genitori, per il semplice fatto che non sta bene non partecipare a un evento a cui si è stati invitati, piuttosto che mettere qualcosa da parte per l’istruzione e il futuro. Il futuro in Africa non esiste. Sono talmente affranta per questo. Il mio punto di vista, lo so, è duro e cozza con la cultura in cui mi sono immersa. Tutti qui vivono benissimo anche senza futuro. Non si lamentano perché forse sanno che sono proprio loro i responsabili del loro futuro.

In realtà si attribuisce sempre la responsabilità di tutto a Dio. Incha allah è talmente di moda che si ritiene che dato che tutto è già stato scritto, si può stare seduti ad aspettare che Dio faccia quel che gli piace.

Io continuo a sgomitare. Non mi siedo. Se mi siedo, finisco che divento baye fall e mi sparo nelle ovaie. Troppo facile prendere il ruolo di chi pretende di sapere tutto sulle vie che conducono a Dio. E passare tutta la vita a parlare solo di questo e convincere i bisognosi di speranza che sia la sola cosa da fare nella vita se si vuole avere una seconda vita nell’aldilà. Scusate tanto, ma che due palline. Io credo fermamente che occorra fare in modo di viversi ben bene questa di vita, perché dell’aldilà non si sa un pippo.

1 commento:

kleo ha detto...

Ciao piacere sn haja.io letto il tuo blog e devo dirti che da senegalese sono al 100% daccordo con quello che hai scritto e ti devo fare i miei complimenti xke hai saputo imparare molto più degli senegalesi stessi. purtroppo la realtà in africa è ciò che hai visto tu stessa e mi fa veramente tanto rabbia quella realtà. guarda avrei veramente tanto voglia d confrontare i miei pensieri con i tuoi quindi per favore contattati su facebook e specifica chi sei così posso capire. ecco il mio contatto su facebook. haja kleo stammi bene (TOUBAB :-))