Sénégal: Dakar - 14/07/2010 - Di amicizie, di matrimoni, di famiglie, di soldi e occhi chiusi

Tempo fa ho avuto un problema alla gamba destra. Mi si è formato uno di quelli che qui chiamano ascessi. E mi si è formato proprio dietro il ginocchio. Non potevo neanche piegare la gamba. Come mi sia venuto, non ne ho ancora idea, perché le tesi dei farmacisti, dei vicini, dei baye fall, degli sconosciuti incontrati per strada e dei dottori dell’ospedale, non hanno mai coinciso. Fatto sta che la prima cosa che mi è stata detta e per la quale tutti sembravano concordi, è stata di prendere degli antibiotici.

Il mio farmacista di fiducia mi ha scritto il nome di due antibiotici dicendomi “Il secondo è un po’ caro, quindi vedi se riesci a trovare il primo”. Ha capito, nei mesi in cui mi sono rivolta a lui, che anche io ho bisogno di economizzare, per cui non aspetta più che io gli chieda quale sia la medicina meno cara, me lo dice spontaneamente. E si, la sua farmacia è sempre sprovvista. Se sei fortunato, ha sempre l’ultima scatola di quel che cerchi, altrimenti, ti spedisce altrove.

Mi son detta che sarei andata a cercare l’antibiotico il giorno dopo. Ossia domenica 25 aprile. E così domenica mi sono svegliata, ho cercato di camminare, ma non ci sono riuscita. O meglio, non deambulavo come tutti gli altri esseri umani. Potevo saltellare, zoppicare, strisciare e camminare come un granchio. Ma di andare dritta e senza sembrare strana, non se ne parlava proprio. La gamba mi faceva un male cane e mi dicevo che se fossi andata a cercare la medicina da sola, avrei rischiato di cadere di cadere o di non arrivare da nessuna parte.

E così ho cominciato a chiedermi a chi potessi chiedere aiuto. Non volevo disturbare Salif, soprattutto perché dal 22 aprile stavamo attraversando uno dei bassi più bassi della nostra storia.

Ho pensato a Adja. Lei era l’unica che sarebbe venuta senza pensarci due volte. Le ho mandato un sms spiegandole il mio problema. Dopo una decina di minuti è arrivata. L’ho aspettata giù in cortile. Mentre la vedevo arrivare, leggevo nel suo modo di camminare una strana fatica che non avevo mai visto. Di solito Adja è sempre scattante e corre da una parte all’altra. Invece quel giorno arriva strisciante, meno di quanto strisciassi io, ma pur sempre strisciante.

Ci siamo incamminate verso la farmacia non lontana da casa mia e ho iniziato il mio interrogatorio. E’ più forte di me. Io se vedo che qualcosa non va, faccio domande. Ho chiesto a Adja cosa la rendesse così strisciante e affaticata. Ma contemporaneamente lei mi ha chiesto cosa mi rendesse così triste.

Adja è la mamma di Babacar, il teppista in giacca e cravatta di cui ho scritto tempo fa. Siamo diventate amiche a agosto 2009. E posso dire senza alcun dubbio che è un’amica vera, e è senegalese. Sottolineo questo punto perché spesso e volentieri si dice che una donna senegalese non può esserti amica. Invece ci tengo a smentire questa cosa con l’eccezione. La nostra amicizia è nata grazie a un Tampax. Ci sono cose che avvicinano le donne, che voi uomini non potete neanche immaginare.

Era forse la prima settimana di agosto 2009, quando vedo Adja sdraiata per terra a casa di Salif. Non si muove neanche. Sbuffa e non parla. Chiedo a Daba cosa le stesse succedendo. Mi fa un gesto con la mano sulla pancia e dice “ses règles”. Allora dico che a volte anche a me causano un gran dolore e mi mettono ko. Ma Daba continua: “si, si anche io, ma Adja non ha assorbenti”.

Eccomi, ritrovo in me lo spirito dell’operatrice di call center che nel 1999 lavorava per il servizio clienti della Tampax e esclamo, rivolgendomi a Adja: “ho dei tampax in camera. Se vuoi te ne do qualcuno e ti spiego come si usano”.
Daba e Adja ridono, come se avessi detto qualcosa di veramente divertente. Devo ancora entrare nel senso dell’umorismo senegalese. Ma ci arriverò. Lo giuro.
Ad ogni modo, salgo in camera, prendo un paio di Tampax e torno da Adja. Glieli do, li intasca e va in bagno. Dopo pochi minuti spunta fuori la sua testa dalla porta del bagno e dice qualcosa in wolof a Daba. Daba mi spiega che Adja l’ha messo ma è un po’ scomodo.
Ci penso. Le chiedo: “come l’hai messo? L’hai infilato?”

Di nuovo ilarità a crepapelle e mi risponde che no, che non l’ha infilato. A sto punto rido anche io immaginandomi come diavolo l’avesse posizionato. Entro in bagno con lei e le spiego cosa fare nel dettaglio. Ma dopo qualche minuto, riecco la sua testolina venir fuori. Avevo dimenticato un particolare. Il cartoncino bisogna estrarlo.
Evviva. Finalmente tutto è al suo posto, nel modo in cui doveva essere. Da quel momento, eccoci, io, Daba e Adja a fare comunella e chiacchierare insieme in cortile fino all’ora di pranzo.

Da quel giorno Adja mi si è avvicinata tantissimo e col tempo siamo diventate davvero amiche. Quando lei ha un problema con suo marito, viene da me e me ne parla. Non va più da Daba. Non cerca nessun altro all’infuori di me. Quando ha un problema di qualsiasi genere, è me che cerca, nessun altro. E io sono li per lei. E mi sono resa conto, in questi mesi, che anche lei è sempre li per me. Sempre.

Sempre. Come quel giorno in cui la mia gamba mi aveva abbandonata. E così striscio io, striscia lei abbiamo iniziato a chiacchierare, sotto il sole fino alla farmacia.
Mi confida che lei è incinta. Le confido che con Salif ci sono gravi problemi. Due pesi che diventano più leggeri appena li scarichiamo l’una sull’altra. Non l’ha ancora detto a nessuno, a parte suo marito e sua madre. E la sua infelicità per questa notizia si legge apertamente nel suo modo di raccontarmela.

Adja, da quando si è sposata, non fa che dedicare ogni sua energia alla famiglia, a Babacar e a Boss (suo marito). Non lavora, si occupa della sua casa e anche della casa di Salif, quando è in forma.
Da qualche tempo non la vedevo agli HLM, e mi chiedevo da cosa dipendesse. E la ragione eccomela spiegata in un nuovo fagiolino che si porta dentro.

Una normale giornata di Adja comincia alle 7 del mattino, quando deve preparare Babacar per portarlo all’asilo. Dico normale intendendo la sua giornata tipo, quando non era incinta.
Babacar la notte non dorme bene. Dipende dal fatto che respira male nel sonno a causa del suo asma. E così cercare di risvegliarlo al mattino, diventa per mamma e papà una bella impresa. Adja lo lava senza neanche svegliarlo. Boss scalda la bacinella dell’acqua e Adja ce lo tuffa dentro dopo averla miscelata con acqua fredda. E’ li che Babs comincia a svegliarsi. Babs fa pipi senza aprire gli occhi. E senza che apra gli occhi, viene vestito e nutrito. Babacar al risveglio fa tutto quello che gli si dice di fare sempre che non debba aprire gli occhi e eseguire ordini troppo difficili. Ma quando è ben sveglio, col pippo che è così obbediente.

Al mattino Boss da a Adja il necessario per far mangiare Babacar e per comprare gli ingredienti per la cena. Infatti è a sera che si riincontreranno tutti. Che ci incontreremo tutti. Perché mangiamo tutti insieme a casa di Salif.
Dopo che Adja accompagna Babacar all’asilo (la scuola coranica), va agli HLM1, da sua madre. E’ li che prepara la cena che a sera porterà agli HLM4. Preparare la cena qui a Dakar significa munirsi di tanta pazienza perché il percorso è davvero lungo. Devi decidere cosa preparare, e una volta deciso, devi avere ben in mente quali sono gli ingredienti che ti servono, perché devi andare al mercato. E se te ne dimentichi uno o due, ci devi ritornare. Si, perché tutti conoscono gli ingredienti di tutti i piatti senegalesi, e se ne mancassero uno o due, tutti lo noterebbero e romperebbero i cabasisi (ammenicoli/testicoli/coglioni insomma) a chi ha preparato.

Dunque Adja parte al mercato, e con la precisione che fa parte di tutte le donne senegalesi, riesce con 1500 CFA a prendere sempre tutto quel che serve, magari diminuendo la dose di qualcosa per far stare tutto nel badget che le è stato imposto. Per cucinare un piatto tipico senegalese, ci vogliono da un’ora e mezza a 3 ore a seconda del piatto e degli ingredienti. Per non parlare del tempo che si impiega al mercato alla ricerca di quel che ti serve, e del prezzo ideale che ti faccia star dentro il tuo badget. E capita spesso di dimenticare qualcosa e di doverci ritornare.

E’ per questo che dico che le donne senegalesi vengono sottovalutate dai propri compagni, perché una tale pazienza e una tale dedizione alla preparazione del pasto non l’ho vista da nessun’altra parte. Si tratta di un vero e proprio lavoro che dovrebbe essere pagato in qualche modo dai signori mariti. Quello che rimprovero a alcuni mariti qui è che quando ricevono il salario a fine mese, non danno niente alla propria moglie. Quando dico che dovrebbero dare qualcosa, parlo di qualcosa per loro stesse, non qualcosa per la gestione della casa.

Ci sono sempre i soldi per la Tabaski o la Korité, ma non trovo giusto che solo in quelle occasioni vengano dati dei soldi alle signore.
Non dico che sia in tutte le famiglie così. Infatti a tutti i matrimoni e a tutti i battesimi, le donne riescono comunque a avere un Boubou nuovo. Per buona parte delle signore, sono i mariti che pagano. Nel caso di Adja, lei si è inventata qualcosa per avere anche lei l’aria di una che non ha problemi. Qui è importante l’apparenza. Eccome.

E così si fa spesso mandare delle cose da suo fratello che vive a Dubai. Churai, tessuti, profumi esotici le arrivano ogni tanto, e lei riesce a rivenderli e guadagnarci qualcosa. Il problema si presenta ogni volta che vende a credito. Qui è un abitudine quella di vendere senza farsi pagare e aspettare la fatidica fine del mese, quando il cliente riceverà uno stipendio o una mancetta o qualsiasi forma di denaro che permetta di pagare questi acquisti.

E chi acquista a credito, qui spesso e volentieri rimanda alla lunga i pagamenti. Sono ben pochi quelli che ho visto rispettare la data dichiarata. E’ per questo che se io vendo a credito, mi faccio pagare almeno il 75% di quel che costa la mia mercanzia. Così alla fine ci perdo poco. Ma Adja a volte vende a credito, senza farsi dare nessun anticipo. E questo è troppo rischioso. E è spiacevole poi rincorrere i clienti non paganti, e litigarci anche.

Ad ogni modo, tutti i boubou che Adja si fa fare (e se ne fa fare spesso), è lei che li paga. E questa cosa mi piace di brutto. Lotta per quel che vuole, in ogni modo che le è consentito. Spesso tra lei e Boss ci sono dissapori, perché qui è tipico che quando si costruisce una famiglia, non si è solo moglie, marito e figli. Si è anche nonni, zii, fratelli, cugini e compagnia bella. Insomma, qui la famiglia è grande. E la grande famiglia influisce tantissimo sulla vita delle coppie che si formano nel tempo.
E così, l’influenza della madre di Adja, crea dei disordini nella famiglia Adja-Boss-Babs. E il passato di Boss, come padre di altri due figli avuti da una precedente relazione, crea altrettanti disordini e tensioni.

Avere una famiglia senegalese, è più complicato di quanto possa sembrare. E’ complicato e semplice allo stesso tempo. Semplice perché si può scegliere di opporsi a delle cose e nessuno se la prenderebbe troppo come invece si crede. Ma è talmente alto il rispetto che si porta ai genitori, agli anziani, e alle loro volontà, che ad ogni modo non ci si oppone tantissimo alle loro volontà. E’ qui che nascono i problemi nelle coppie, che non sono veramente libere di vivere la nuova famiglia che hanno creato.

Generalmente si tratta sempre di problemi legati ai soldi, soldi che vengono chiesti, soldi che vengono sottratti di nascosto, soldi che vengono pretesi da esterni alla famiglia passando per la grande figura della madre, soldi che non ci sono, perché i lavori qui non vengono pagati affatto quanto meriterebbero d’esser pagati.

Su queste basi, Adja si ritrova incinta e quel giorno ha accettato comunque di accompagnarmi in farmacia.

(to be continued...)

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